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Teoria

Nozioni generali sulle aperture

Per apertura si intende la parte iniziale della partita, quando entrambi i giocatori sono impegnati nella fase dello sviluppo dei pezzi, per far assumere ai propri rispettivi schieramenti una posizione ottimale sulla scacchiera al fine di affrontare nel miglior modo possibile la fase successiva, il mediogioco, se non addirittura il finale.

Oggi la teoria delle aperture è in pieno sviluppo e frequentemente appare sulle riviste del settore e sulle scacchiere dei tornei magistrali qualche novità teorica (mossa mai giocata prima) di indubbio interesse, che talvolta addirittura rivaluta una difesa dimenticata o confuta una variante fino ad allora considerata buona.

LA STORIA

Fin dai primordi del gioco gli scacchisti notarono che fra i vari modi di iniziare una partita alcuni sono da preferire ed altri invece sono da evitare. Con l'evolversi delle conoscenze, infatti, i giocatori si avvidero della cruciale importanza della buona coordinazione dei pezzi del proprio schieramento, della rapidità della mobilitazione delle proprie forze e della possibilità di controllare il centro della scacchiera, zona quasi sempre nevralgica ed in ogni caso altamente strategica per qualunque partita a scacchi.

Le attenzioni dei primi teorici si concentrarono principalmente su una mossa in particolare, ovvero 1. e4, che sembra soddisfare tutti i requisiti cercati: essa permette al Bianco di mobilitare subito la Donna e l'Alfiere campochiaro (l'Af1), di controllare tramite il Pedone in e4 la casa centrale d5 e di predisporre un rapido arrocco corto dopo lo sviluppo dell'Alfiere campochiaro e del Cavallo di Re (il Cg1).

Partita di Re (1. e4)
Partita di Donna (1. d4)

Man mano che le conoscenze aumentarono, gli studiosi si accorsero che l'apertura di Re 1. e4 non è la sola che consente di posizionare un forte Pedone nel centro della scacchiera, ma che c'è anche l'apertura di Donna 1. d4, che al contrario della precedente ha il pregio di porre il Pedone bianco in una casa, la d4, che è già protetta da un pezzo dello schieramento del Bianco, cioè dalla Donna. Questo fatto non permette al Nero di attuare un immediato contrattacco sul Pedone avversario come invece è possibile nell'apertura di Re, per esempio con la risposta 1. ... Cf6 (Difesa Alekhine).

Fu con giocatori di grande calibro come Xavier Tartakower e Richard Reti che si cominciò tuttavia a porre in discussione la validità universale del concetto di occupazione del centro, dimostrando che esso era alternativo a quello di controllo del centro, attuabile non solo con Pedoni, ma anche e soprattutto con gli altri pezzi. Di conseguenza entrarono in auge aperture come 1. b3 (Apertura Larsen) e 1. Cf3 (Apertura Reti), che si prefiggevano di attuare un controllo a distanza del centro mediante lo sviluppo degli Alfieri in fianchetto (cioè posizionandoli nelle case b2, g2 per il Bianco e nelle case b7 e g7 per il Nero) e per mezzo dell'uscita anticipata dei Cavalli.

Apertura Reti (1. Cf3)

CONCETTI GENERALI

I principi generali da seguire nella fase d'apertura variano a seconda della "scuola scacchistica":

Scuola classica - Fondata da Siegbert Tarrasch nella seconda metà dell'Ottocento, si tratta della scuola di pensiero più nota e sostanzialmente valida ancor oggi. I precetti di Tarrasch si basano su uno schema tipico:

1 ) aprire con il Pedone di Re o di Donna per occupare subito il centro: l'obbiettivo ideale sarebbe creare la coppia di Pedoni centrali (Pd4 e Pd5 per il Bianco, Pd5 e Pe5 per il Nero) per dominare la zona nevralgica della scacchiera;

2 ) sviluppare rapidamente le figure leggere, cioè i Cavalli e gli Alfieri, portandoli verso il centro della scacchiera;

3 ) arroccare per mettere al sicuro il Re prima delle operazioni strategiche e tattiche del mediogioco;

4 ) portare le due Torri sulle colonne centrali, a supporto di eventuali avanzate dei Pedoni.


Scuola ipermoderna - Il paradigma quasi dogmatico sull'apertura dettato da Tarrasch fu però contestato da giocatori come Aaron Nimzowitsch, Efim Bogoljubov ed i già citati Tartakower e Reti, che lo giudicavano troppo rigido, dando così origine, fra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, ad un'altra scuola di pensiero che puntava invece sulla flessibilità:

1 ) non occupare il centro con i Pedoni, aspettare che sia l'avversario a farlo: ogni spinta di Pedone è irreversibile perché tale pezzo non può più tornare indietro, dunque si possono potenzialmente formare debolezze nelle retrovie;

2 ) usare semmai nelle prime mosse i Pedoni semicentrali (ovvero i Pedoni d'Alfiere) ed i Cavalli per controllare il centro;

3 ) porre uno ed entrambi gli Alfieri in fianchetto, da cui tenere sotto sorveglianza le grandi diagonali (a1-h8 e h1-a8);

4 ) cercare di creare buchi nelle retrovie avversarie con opportune spinte di Pedone, al fine di creare case deboli da trasformare in avamposti inattaccabili dove piazzare le proprie figure leggere, in particolare i Cavalli.

Senza tralasciare l'importanza della teoria del mediogioco e dei finali di partita, lo studio delle aperture dovrebbe occupare una posizione preminente nel bagaglio scacchistico di ogni giocatore, poiché un'insufficiente preparazione in questo campo spesso è causa di rovinose e fulminanti sconfitte, tanto più che è molto facile cadere vittima di qualche trappola d'apertura considerando che ciò è accaduto anche a giocatori molto quotati!